La libertà di espressione personale nel pensiero di Adriaan Koerbagh
Het menselijk vermaak is doorgaans onschadelijk. […] En so [is] in alle andere dingen […]. Het goede wordt door misbruikt niet kwaad.[1]
Adriaan Koerbagh, Een ligt, V 7-8[2]
Introduzione
È oggigiorno comune ritrovare, persino nel Mondo Occidentale, divieti e discriminazioni prodotti da una ancora radicata “vecchia” morale. Per quanto tale morale venga sempre più accantonata nell’era della Globalizzazione, si assiste a una ancora attuale limitazione della libertà di espressione.
Non è insolito che si incolpi una ragazza per le violenze subite, nel caso in cui il vestito fosse più corto di quanto “stabilito” da questa morale. È consueto l’accostamento all’omosessualità – per altro ancora oggi utilizzata come offesa – di alcuni atteggiamenti ritenuti effemminati. Così come le aggressioni nei confronti dei ragazzi che per gusto personale utilizzano abiti di colori “non consoni” o decidono di truccarsi. Ancora, sono diffusi i pregiudizi verso gli artisti di strada, o verso coloro che frequentano i teatri. O, in generale, verso chi vive di e per la cultura ed esprime se stesso proprio attraverso quest’ultima.
È una delle tante contraddizioni della società odierna, considerata da molti sulla buona strada verso l’apice della civiltà umana. Eppure, già più di trecentocinquanta anni fa, le problematiche riguardanti questa tematica erano le medesime. Così come erano già presenti le conclusioni che, fortunatamente, dalla maggioranza degli individui sono oggi considerate come ovvietà.
È questo il caso, ad esempio, di Adriaan Koerbagh, al quale è dedicato questo articolo. Dopo una breve presentazione del filosofo, si procederà all’analisi di come Koerbagh abbia affrontato, negli anni Sessanta del XVII secolo, l’argomento della libertà individuale di esprimere la propria persona.
L'eretico di Amsterdam
Adriaan Koerbagh (1632-1669), era coetaneo e amico fraterno di Baruch Spinoza, nonché membro del circolo intellettuale raccoltosi attorno alla figura di quest’ultimo. Fu uno dei più importanti, ma al contempo sconosciuti, radicale denkers, i filosofi “radicali”. Il loro pensiero influenzò la cultura moderna nederlandese al pari di quello di Spinoza stesso.
Nato ad Amsterdam a cavallo tra il dicembre del 1632 e il gennaio del 1633, soggiornò per un breve periodo a Utrecht e Leiden. Prima di rientrare nella città natia aveva già conseguito le lauree in Filosofia, Medicina e Legge. Era appassionato di lessicografia, botanica, esegesi biblica e politica – tematiche che poté approfondire all’interno del Circolo spinoziano prima di trattarle autonomamente.[3] Fin dalla giovane età si trovò sempre in conflitto con la Chiesa calvinista d’Olanda.
Le frange più intransigenti del calvinismo olandese interrogarono e multarono più volte lui e il fratello Johannes (1634-1672), teologo estremamente eterodosso. Lo stesso Adriaan venne condannato a dieci anni di galera, a cui ne sarebbero dovuti seguire altrettanti di esilio. Egli, tuttavia, rimase rinchiuso solamente poco più di un anno, da settembre 1668 a circa la metà di ottobre dell’anno seguente, quando fu rilasciato a causa della sua salute estremamente cagionevole.
Morì pochi giorni dopo, il 15 ottobre, in quella che era probabilmente l’abitazione in Amsterdam di Johannes.
Ciò che aveva spinto i predikanten, i “difensori” dell’ortodossia riformata, a tale odio per i Koerbagh (che sfociò in un tentativo quasi riuscito di damnatio memoriae)[4] fu proprio il loro pensiero. In particolare, fu la filosofia di Adriaan.
La filosofia di Adriaan Koerbagh era fortemente radicale nel suo antitrinitarismo e “scientismo” razionale in ambito religioso e nella strenua difesa dell’ideologia democratica. Agli occhi dei magistrati e dei pastori egli si macchiò di innumerevoli eresie e blasfemie.
Koerbagh aveva negato la natura divina del Cristo, la verginità di Maria e la Trinità, e aveva sostenuto l’origine umana e non divina delle Scritture. Nonché la superiorità ab-soluta dello Stato nei confronti delle Chiese.[5]
All’interno di tale panorama intellettuale, la filosofia morale dell’Autore ricopre uno spazio ridotto, spesso ignorato o solamente accennato dalla critica. L’Autore stesso, nell’Een ligt, promette una «futura estensione di questo capitolo in una completa filosofia morale»[6] a cui dedicare un secondo volume dell’Een ligt. Tuttavia, questa promessa pare non essere mai stata mantenuta.
Eppure, all’interno di questo capitolo, intitolato Van goed ende kwaad, de bono et malo, Koerbagh inveisce contro coloro che si fregiano del titolo di censori morali nella propria comunità. Titolo, per altro, immeritato, perché «non esiste ancora un’universale teoria morale sul bene e il male».[7] Tali censori impedivano ai propri concittadini di esprimere se stessi e la propria persona, nonostante ciò non arrecasse danno agli altri.
«Il piacere umano è solitamente innocuo»
Il primo abbozzo di teoria morale all’interno del pensiero di Koerbagh si incardina su un concetto che, a partire da Hobbes e dal Razionalismo secentesco, si stava via via diffondendo lungo il Vecchio Continente: «tutte le attività di un individuo sono buone quando sono vantaggiose per sé e per gli altri, o quando sono vantaggiose per sé e innocue per i suoi simili, o infine innocue per se stesso e vantaggiose per gli altri».[8]
Al contrario, le azioni di un individuo sono malvagie quando arrecano danno a sé o ai suoi simili. Dunque, in altre parole, è buono ciò che è piacevole e, al contempo, innocuo per se stesso e gli altri.
Da ciò, all’interno del ragionamento di Koerbagh, consegue che qualora qualcuno tragga piacere – e quindi arricchisca la sua persona con azioni buone per se stesso – da attività che mettano in luce la sua creatività o il suo essere, queste debbano essere necessariamente buone a loro volta.
Chiunque deve essere libero, all’interno dello Stato, di fare ciò che più lo rende felice e che più gli provoca piacere, purché ciò non leda le libertà altrui. Chiunque, infine, deve sentirsi libero di esprimere se stesso e la propria persona anche e soprattutto attraverso l’arte, la musica e la creatività.
Ma nel XVII secolo – come in parte ancora oggi – tale libertà di espressione personale era osteggiata dagli individui più conservatori e intransigenti della comunità, nonostante essa non fosse e non sia mai dannosa se esercitata nel modo corretto.
Queste le parole dell’Autore:
Quale danno o accidente può causare a se stesso o agli altri chi, come passatempo, si reca occasionalmente a teatro per guardare un buono spettacolo, che sia scritto e recitato con arte? Certamente, si può realizzare che costui non fa nulla di sconveniente per se stesso e gli altri se ciò accade occasionalmente […]. O, ancora, quando qualcuno suona una canzone con un flauto o qualunque altro strumento con compostezza e arte, e qualcun altro canta seguendo la musica con compostezza e arte, e un altro ancora balla sulla melodia con compostezza e arte, quale danno procurano a loro stessi e agli altri? […] O se qualcuno portasse i propri capelli più lunghi, oltre alle orecchie, nonostante qualcuno possa desiderare che vengano tagliati a una certa lunghezza? O qualora qualcuno agghindasse i propri vestiti con particolari cuciture, o con collari, fiocchi, laccetti o simili decorazioni […] o qualora i suoi vestiti fossero realizzati in lana, lino o seta […] che danno potrebbero procurare costoro a loro stessi o agli altri? Nessun danno in assoluto.
Koerbagh A., Een ligt, V 7
Tali significative affermazioni potrebbero, indubbiamente, provenire da un’analisi sulla società odierna. Più di tre secoli dopo l’Een ligt, le critiche alla libertà di espressione personale sembrano essere rimaste le medesime. Per quanto, infatti, ora essa venga maggiormente tutelata dall’alto a livello istituzionale, dal basso al livello del comune cittadino è spesso ignorata, guardata con scherno, derisa e persino criticata con il chiaro tentativo di debellarla ed estirparla.
E tale ragionamento fornisce un ulteriore argomento a favore dell’originalità e della modernità del pensiero di Adriaan Koerbagh:[9] per quanto in parte erede di quella spinoziana, la filosofia di Koerbagh affronta argomenti inesplorati all’interno del Circolo, come la libertà di espressione stessa, a cui gli altri autori – Spinoza in primis – sembrano preferire la libertas philosophandi, ossia la libertà di pensiero.
Per quanto ritenga anch’essa fondamentale, Koerbagh pare sostenere una maggiore importanza di quella di espressione personale se esercitata all’interno di una comunità.
Infatti, afferma che «si può danneggiare soltanto se stessi attraverso il proprio pensiero. […] Quando però si esprimono i pensieri a parole, […] o quando si mette in atto il proprio pensiero, allora si può fare qualcosa di dannoso o qualcosa di benefico [per gli altri, nda]».[10]
Dunque, per quanto importante, la libertà di pensiero deve essere solamente tutelata e garantita dallo Stato, mentre la libertà di espressione personale è necessario che venga anche autoregolamentata in base alle libertà e al bene altrui.
Conclusione
Quali conclusioni si possono trarre dalla lettura, a fine 2021, della breve trattazione morale di Adriaan Koerbagh? Innanzitutto, che per quanto il progresso abbia spinto l’Umanità verso nuovi traguardi in ogni ambito, la lotta per le libertà individuali, personali e delle collettività è ancora a uno stato poco più che embrionale, incardinata a pregiudizi secolari.
La libertà di pensiero, la libertà di espressione, la libertà di espressione della propria persona – declinata in ogni sua sfumatura, da quella artistica a quella sessuale – hanno raggiunto il traguardo auspicato da Koerbagh, ossia la tutela istituzionale, perdendo tuttavia al contempo il sostegno del singolo cittadino, che spesso “teme” nel sostenere tali posizioni di essere tacciato come “radical chic”.
Se si vogliono apprendere importanti lezioni dal passato, anche nel civilizzato e avanzato Mondo Occidentale, è possibile riscontrare contraddizioni e aporie vecchie di secoli. Antico quanto l’uomo è il concetto stesso di contraddizione sociale. In quella che viene considerata la patria della tolleranza Occidentale non erano garantite libertà ritenute oggi basilari e banali. Nella global civilization tali diritti vengono difesi soltanto ufficialmente.
Tale aporia è forse risolvibile proprio seguendo il ragionamento di Koerbagh, ossia considerare non tanto l’amoralità, quanto piuttosto l’innocuità delle azioni altrui. Non si tratta certamente della verità assoluta o della risoluzione definitiva di tali problematiche. Piuttosto di un cambio di pensiero che, per una volta, guardi realmente al passato (non in maniera nostalgica). Che possa aprire le porte a una reale diffusione dei diritti più basilari che ogni individuo dovrebbe considerare per se stesso ovvi.
Note
[1] «Il piacere umano è solitamente innocuo. […] Ed è così in ogni altra cosa. […] Ciò che è realmente buono non diventa cattivo con l’abuso di esso». Traduzione mia.
[2] Koerbagh A., Een ligt schijnende in duystere plaatsen (1669), tr. ing. di Wielema M., A light shining in dark places, Leiden-Boston, Brill, 2011.
[3] Oltre al già citato Een ligt, Koerbagh A., ‘t Samenspraeck tusschen een Gereformeerden Hollander en Zeeuw, Middelburg, Antoni de Vrede, 1664; id., ’t Nieuw Woorden-Boek der Regten, Amsterdam, Jan Hendriksz Boom., 1664; e id., Een Bloemhof van allerley lieflijkheyd sonder verdriet, Amsterdam, Van Eede (?), 1668. Di queste tre opere non sono state realizzate ristampe o edizioni critiche.
[4] Le copie reperibili delle sue opere vennero raccolte e bruciate pubblicamente contemporaneamente al suo arresto.
[5] Per un maggiore approfondimento sulla vita e sul pensiero dell’Autore, cfr. Nadler S., A Book Forged in Hell, tr. it. di Giacone L., Un libro forgiato all’inferno, Einaudi, 2013; Jongeneelen G. H., La philosophie politique d’Adrien Koerbagh, «Cahiers Spinoza», VI, 1991, pp. 247-267; Lavaert S., Entre clandestinité et sphère publique. Le cas Koerbagh, «La Lettre clandestine», XXVI, 2018, pp. 33-48; Leeuwenburgh B., Het noodlot van een ketter, Nijmegen, Vantilt, 2012; Levoni R., Una luce che risplende nell’oscurità, in Dagnino R. e Prandoni M., Cultura letteraria nederlandese, Milano, Hoepli, 2020, pp. 102-103; id., Politica e religione, scienza e ragione. Koerbagh e Spinoza a confronto, «Dianoia», XXXII, 2021, pp. 37-51; W. van Bunge, The Dictionary of Seventieth and Eighteenth Century Dutch Philosophers, vol. II, Bristol, Thoemmes, 2003.
[6] Koerbagh A., Een ligt, V 12. Traduzione mia.
[7] Ivi, V 1.
[8] Ivi, V 4.
[9] In opere come Nadler S., A Book Forged in Hell, cit.; Jongeneelen G., An unknown pamphlet of Adriaan Koerbagh, «Studia Spinozana», III, 1987, pp. 255-271; Mignini F., Een ligt schijnende in duystere plaatsen, in Licata G., L’averroismo in Età Moderna, Macerata, Quodlibet, 2013; et al., l’influenza reciproca tra Koerbagh e Spinoza viene fortemente rivalutata a partire proprio dalle evidenze concettuali e cronologiche. Sta ormai diventando sempre più chiaro, infatti, che Koerbagh non può essere considerato solamente uno spinozista e che Spinoza stesso possa avere tratto ispirazione dal pensiero dell’amico e compagno.
[10] Koerbagh A., Een ligt, V 9.
Fonti
Jongeneelen G. H., An unknown pamphlet of Adriaan Koerbagh, «Studia Spinozana», III, 1987.
Koerbagh A., Een ligt schijnende in duystere plaatsen (1669), tr. ing. di Wielema M., A light shining in dark places, Leiden-Boston, Brill, 2011.
Lavaert S., Entre clandestinité et sphère publique. Le cas Koerbagh, «La Lettre clandestine», XXVI, 2018, pp. 33-48.
Leeuwenburgh B., Het noodlot van een ketter, Nijmegen, Vantilt, 2012.
Levoni R., Politica e religione, scienza e ragione. Koerbagh e Spinoza a confronto, «Dianoia», XXXII, 2021, pp. 37-51.
Mignini F., Een ligt schijnende in duystere plaatsen, in Licata G., L’averroismo in Età Moderna, Macerata, Quodlibet, 2013.
Nadler S., A Book Forged in Hell, tr. it. di Giacone L., Un libro forgiato all’inferno, Einaudi, 2013.
W. van Bunge, The Dictionary of Seventieth and Eighteenth Century Dutch Philosophers, vol. II, Bristol, Thoemmes, 2003.