Le personalità della dinamica violenta
Un trauma infantile può certo creare, tramite lo stress post-traumatico, una predisposizione alla violenza, che potrà essere o meno rafforzata dal contesto sociale e culturale del soggetto. In linea generale, anche al di là dei traumi, la personalità di un individuo è influenzata dall’educazione e dall’ambiente sociale.
M. Hirigoyen, Femmes sous emprise, p. 122[1]
Introduzione
Marie-France Hirigoyen[2] ci illumina sul fatto che un comportamento disfunzionale e violento non deriva esclusivamente da un trauma infantile. Bensì è influenzato anche dall’ambiente sociale, nonché dall’educazione ricevuta. Il nostro modo di agire (e/o reagire) ci aiuta a costruire la nostra identità, inserendo al suo interno anche l’immagine che le altre persone hanno di noi.
All’interno della Società i ruoli dell’uomo e della donna sono sempre stati ben differenziati, rinchiusi in uno stereotipo di genere in cui le persone si identificano, si ingabbiano e si sentono strette. Le conseguenze che derivano da questi modelli sono tantissime. In questo articolo mi concentrerò su quelle che riguardano l’uomo e la donna in quanto tali.
L’immagine del vero uomo si erge sui concetti di forza, potenza e dominio; agli uomini non è concesso esprimere le proprie debolezze. Capita spesso di sentire un genitore rivolgere al proprio figlio questa frase: “Luca! Non piangere, sei un ometto!”. Esatto, un ometto che deve crescere con l’incapacità di provare empatia, leggere le emozioni ed esprimerle.
John Bowlby[3] dimostra come la separazione della madre dal bambino sia un momento cruciale per lo stesso.[4] E la paura dell’abbandono provata in età infantile può ripresentarsi anche in età adulta all’interno della relazione intima. A causa di questa paura, l’uomo può attivare delle strategie e dei comportamenti aggressivi nei confronti della donna. Dall’altra parte, può prendere le distanze dalla stessa, perché non accetta la dipendenza affettiva. La paura di essere abbandonati e la dipendenza affettiva, nonché il suo rifiuto, sono elementi cruciali che possono coesistere all’interno dell’individuo.
Per quanto siano stati fatti passi in avanti, anche la donna tutt’oggi subisce la propria immagine stereotipata: deve essere docile, gentile, sempre disponibile nei confronti degli altri, fragile.
Le immagini stereotipate dell’uomo e della donna vengono ancora confermate dai modelli educativi utilizzati dalle figure genitoriali. Ci sono donne che subiscono passivamente i comportamenti violenti perpetrati dall’uomo, perché succubi del loro trauma, che le porta a normalizzare tali agiti. Oltre all’aspetto culturale, è quindi fondamentale analizzare anche l’aspetto del trauma.
La personalità narcisista
Nell’articolo Le origini della violenza, pubblicato per «VIA – Vivere in Alto»,[5] si è visto come la qualità delle cure in età infantile influenzi l’agire dell’individuo adulto anche all’interno delle sue relazioni intime. Questo vale sia per l’uomo che per la donna.
Tra le personalità coinvolte nella dinamica violenta, Hirigoyen individua quella narcisista e la distingue in comune narcisista e perverso narcisista. La personalità narcisista deriva da un attaccamento evitante[6] e le sue caratteristiche sono comuni: rifiuto delle critiche, necessità di ammirazione, egocentrismo; tutti meccanismi che si utilizzano comunemente per difendersi.
Questi meccanismi non vengono descritti, per quanto riguarda il comune narcisista, come comportamenti patologici. Tuttavia, alcuni di questi soggetti, proprio a causa di questi meccanismi, possono essere classificati come perversi narcisisti.[7] La persona perversa narcisista, per difendersi dalle ferite infantili, si tiene distante dagli affetti, creando un Sé distanziante. Il suo partner diventa uno specchio. Nella sua mente l’Altro non esiste come essere individuale, ma come oggetto al quale aggrapparsi per non dover sentire il vuoto interiore.
La personalità narcisista si alimenta della stima e delle ambizioni altrui e non prova empatia. Una sua caratteristica peculiare è l’essere megalomane. Infatti, crede di possedere la verità assoluta e di essere superiore a chiunque; quindi, non accetta nessuna critica. Piuttosto critica severamente gli altri svelando le loro debolezze per non vedere le proprie.
Se instaura una relazione con qualcuno, lo fa per sedurre. L’Altro viene distrutto, privato della propria identità, che assume la forma che lo stesso perverso narcisista decide. I fallimenti vengono vissuti con conseguente rabbia e desiderio di rivalsa. Questo spiega l’esplosione di rabbia che si verifica dopo una separazione.
A differenza del comune narcisista, il perverso narcisista non affronta il proprio vuoto, bensì lo evita distruggendo l’Altro. «Per accettarsi, […] [i perversi narcisisti, nda] devono trionfare su qualcun altro, sentendosi superiori».[8] Il sentimento principale provato da questo soggetto è l’invidia, sia nei confronti di chi possiede determinati beni materiali, sia per chi possiede determinate caratteristiche di personalità del proprio partner.
L’invidia può provocare comportamenti aggressivi, alimentati dal desiderio di distruggere quello che l’Altro possiede. Per sopportare questa mancanza, il perverso narcisista tende a umiliare l’Altro. Non gioisce per il successo altrui, perché tale successo mette in luce il suo senso di fallimento. Così impone agli altri il suo sguardo pessimistico sul mondo. Il perverso narcisista rende il proprio partner dipendente da lui, assoggettandolo alle proprie esigenze. In caso di separazione dal partner, l’individuo perverso si comporta come se fosse la vittima.
La persona narcisista perversa disprezza la propria figura materna, identificandola come responsabile delle sue sofferenze e dei suoi fallimenti. Da qui ci si può collegare all’atteggiamento frequente di deresponsabilizzazione. L’individuo, in questo caso, utilizza il meccanismo di proiezione: addossa agli altri la responsabilità dei propri fallimenti personali, mostrando aggressività per evitare il proprio dolore. Non è un individuo autonomo, ma anzi ha costantemente bisogno che l’Altro divenga responsabile delle sue decisioni.
Il narcisista ha molta paura della separazione; il proprio partner viene identificato come responsabile di questa dipendenza affettiva. Nelle relazioni intime vengono messi in campo tutti gli atteggiamenti e i meccanismi sopra descritti.
Ma quale tipo di violenza viene esercitata da parte del perverso narcisista? Quella che viene esercitata sulla vittima è una violenza nascosta: la violenza psicologica. Questa violenza si esprime attraverso l’utilizzo dell’ironia e del sarcasmo per umiliare e distruggere psicologicamente il partner (ovviamente, tentando di proteggere la propria integrità psichica). È un tipo di violenza permanente che spesso il soggetto stesso non si rende conto di esercitare.
La personalità borderline
Un altro tipo di personalità che frequentemente si presta a relazioni violente e disfunzionali è quella borderline. Questo disturbo della personalità può derivare dalla reiterazione di continui traumi in età infantile (per esempio maltrattamento fisico e/o emotivo o abuso sessuale) e da un modello di attaccamento di tipo disorganizzato.[9]
All’interno di questo modello si verifica una vera e propria perturbazione identitaria. L’individuo percepisce un grande vuoto interiore, soffre di forti sbalzi d’umore ed è soggetto a comportamenti e reazioni impulsive, che portano ad atteggiamenti violenti. Sensibile alle reazioni degli altri, alla minima discussione reagisce con esplosioni di rabbia esagerate.
Nei rapporti intimi è fondamentale la distanza tra lui e il partner: qualora il partner fosse troppo vicino, l’individuo temerebbe di cadere nella dipendenza e quindi reagirebbe con violenza. I pensieri nei confronti degli altri sono ambivalenti: l’Altro viene prima idealizzato e amato, ma, quando questo prende le distanze, viene sminuito con violenza e poi allontanato.
L’individuo caratterizzato da una personalità borderline ha un’immagine negativa di se stesso. La manifestazione della violenza ha una funzione di regolazione: l’individuo, durante l’acting-out,[10] cade in uno stato dissociativo.
In questi casi, per quale motivo la vittima rimane insieme all’aggressore? Cosa le impedisce di reagire?
Il caso dei rapporti tra uomo e donna
I meccanismi violenti che queste diverse personalità possono mettere in atto possono riguardare sia l’uomo che la donna. All’interno delle dinamiche di una relazione violenta tra uomo e donna, entrambi i soggetti attivano dei meccanismi che portano alla sottomissione completa della vittima (nella maggior parte dei casi la donna).
Attraverso la dinamica del plagio come prima fase di seduzione narcisistica, la vittima-donna viene preparata psicologicamente alla sottomissione: l’uomo-violento si presenta come vittima di qualche avvenimento sfortunato, o di un’infanzia infelice, giustificando così i suoi agiti. Successivamente, attraverso intimidazioni e piccole violenze, la donna viene privata della sua libertà di azione e di pensiero.
«L’uomo violento neutralizza la volontà della compagna, diminuisce o annulla la sua alterità fino a trasformarla in oggetto. Si attacca alla mente della donna, instilla il dubbio su ciò che lei dice o prova […]».[11] La donna, incapace di ribellarsi, non si rende conto della violenza che subisce. Attraverso il condizionamento della vittima-donna, l’uomo-violento può limitare la sua capacità di ribellione. L’uomo adotta un’azione coercitiva sia fisica che psicologica, utilizzando tecniche comportamentali (isolamento della donna rispetto all’intero suo contesto sociale; controllo, ad esempio del telefono; dipendenza economica) e tecniche emozionali, come la manipolazione emotiva.
Per ogni tipo di personalità violenta (narcisista o borderline), l’uomo influenza la donna mettendo in primo piano esigenze diverse: l’amore, oppure la necessità di mantenere il controllo e il dominio. Utilizza minacce e punizioni per mettere la donna in uno stato di ansia, alternando questi comportamenti ad altri più pacati e gentili, e creando in lei confusione.
Esistono anche tecniche manipolatorie che riducono le capacità cognitive di una persona. Queste tecniche consistono nella distorsione della comunicazione al fine di porre la vittima in una condizione di impotenza. Vengono mandati dei segnali incerti, che portano la vittima a un esaurimento psicologico e, conseguentemente, alla rinuncia. Così la capacità critica della donna viene meno, ed essa comincia a non comprendere realmente ciò che le viene detto. Il crollo della capacità critica non si limita al momento, ma si prolunga fino a una sua attivazione automatica.
Perché è così difficile uscire dal circolo della violenza? Hirigoyen parla di impotenza appresa.[12] Questo concetto permette di comprendere come i maltrattamenti e gli abusi subiti in età infantile incidano fortemente sulla vulnerabilità di una donna davanti ai comportamenti violenti del proprio partner. Il condizionamento presente si sostituisce a quello passato, e il trauma ripetuto crea una mancanza di motivazione, uno stato di depressione tale che la vittima non riesce più a reagire.
Come accade per gli ostaggi, anche nel rapporto violento tra uomo e donna si verifica quella che viene chiamata sindrome di Stoccolma.[13] La donna, essendo sottoposta all’imprevedibilità della violenza, e quindi sentendosi impotente, finisce per identificarsi con il proprio partner. Per evitare qualsiasi reazione violenta, che metterebbe la donna stessa in una situazione ancora più pericolosa, questa si adegua alle giustificazioni utilizzate dall’uomo. Le cause dei comportamenti aggressivi dell’uomo vengono attribuite all’esterno, e qualora l’uomo, deresponsabilizzandosi, dovesse attribuirle anche alla sua partner, quest’ultima si addosserebbe la colpa.
Tutto ciò può essere agevolato dal processo di dissociazione della vittima, attraverso il quale i pensieri vengono inconsciamente dissociati dalla personalità. Gli stati di dissociazione potrebbero essere causati dalla persuasione coercitiva. Inoltre, potrebbero portare la vittima a dimenticare il trauma subito, lasciandola in uno stato di depersonalizzazione, con conseguente mancanza di sensibilità emotiva.
Se la personalità violenta attua determinati meccanismi per “abituare” la vittima alla violenza, quest’ultima innescherà dei meccanismi di adattamento alla stessa. Alla violenza ci si adatta in maniera diversa, e ciò dipende fortemente dal livello di pericolosità avvertito e dalla frequenza del comportamento violento. Una donna esposta ripetutamente ad atteggiamenti e comportamenti violenti può uscirne disorientata e può non avere gli strumenti psicologici per reagire. Generalmente, una donna che subisce violenza dal partner tende ad adattarsi al suo comportamento, per non aumentare la pericolosità della sua situazione.
Adattandosi a ciò che accade, subendo e assecondando costantemente le richieste del compagno, la donna diventa sempre più vulnerabile e fragile, con una seguente perdita di autostima.
A tutto ciò consegue una reazione di forte dipendenza dal partner, soprattutto dove il dominio psicologico risulta molto forte. Logicamente, identificandosi con lo schema mentale del partner, la donna formerà un’idea di sé molto fragile. Continuamente denigrata e derisa, penserà di non valere niente, a tal punto da convincersi che senza il proprio partner non potrebbe vivere. Si tratta di meccanismi che agiscono a livello inconscio, tant’è che è spesso difficile per la donna rendersi conto delle sue reazioni.
Conclusione
In generale, è importante considerare la totalità del fenomeno. Non è solo questione di intergenerazionalità della violenza intra-famigliare: bisogna piuttosto considerare la fragilità insita sia nell’uomo che nella donna. Una fragilità che deriva anche dalla cultura, i cui cambiamenti hanno portato a una modifica delle tipologie di attaccamento, con tutto ciò che ne consegue.
L’intenzione di questo articolo è stata quella di mettere in luce molti meccanismi che comunemente si mettono in atto e che spesso non sono legati esclusivamente a una condizione psicopatologica.
Molti meccanismi di difesa portano a comportarsi in maniera disfunzionale nei confronti degli affetti più intimi. È necessario sviluppare la capacità di autoanalizzarsi, comprendendo le proprie emozioni per evitare che un’insoddisfazione interna possa sfociare in comportamenti che possono ferire gli altri.
Se si arriva alla consapevolezza di non piacersi, di non riuscire ad accettare questa sensazione di malessere interiore, è bene accoglierla per poterci lavorare e chiedere aiuto a un professionista. Allo stesso modo se si prova una rabbia esplosiva e si sente di non riuscire a gestirla.
La violenza che l’uomo può agire nei confronti della donna è quella più conosciuta e citata, ma è necessario tener conto anche dei casi in cui è la donna a esercitare violenza nei confronti dell’uomo.
Per questo motivo ho voluto chiarire l’intenzione di questi articoli, che vogliono sì svelare dinamiche e caratteristiche di relazioni conflittuali sconosciute a molti, ma allo stesso tempo vogliono sensibilizzare sull’importanza di cogliere segnali per venir fuori da rapporti estremamente conflittuali e chiedere aiuto in caso di necessità.
Come esseri umani siamo fallibili per natura, ma è nostra responsabilità educarci per non ferire gli altri e noi stessi.
Note
[1] Hirigoyen M., Femmes sous emprise. Les ressorts de la violence dans le couple, tr. it. di Pico S., Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia, Torino, Einaudi, 2006
[2] Psichiatra, psicoterapeuta, psicanalista e ricercatrice francese, Marie-France Hirigoyen nei suoi studi mette in risalto come gli effetti distruttivi di una relazione possano essere causati da soggetti affetti da disturbo narcisistico di personalità, che, attraverso meccanismi basati sulla dominazione manipolatoria, tolgono ogni senso critico alle loro vittime fino a catturarne la mente.
[3] John Bowlby, psicologo, medico e psicoanalista britannico, ha elaborato la teoria dell’attaccamento. Cfr. Bowlby J., A Secure Base: Clinical Applications of Attachment Theory, tr.it di Magnino M., Una base sicura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996.
[4] Cfr. Schiavone C., Le origini della violenza | Vivere in Alto, Rivista di discipline umanistiche, data ultima consultazione 19 novembre 2021.
[5] Cfr. ivi.
[6] Cfr. Schiavone C., Le origini della violenza | Vivere in Alto, Rivista di discipline umanistiche, op. cit.
[7] Questo concetto è stato elaborato da Paul-Claude Racamier, psicoanalista francese, il quale collega la perversione al disturbo narcisistico, ponendo all’origine del disturbo narcisistico una perversione relazionale. Cfr. Racamier P., Le Génie des origines, tr. it. di Xella C. M., Il genio delle origini. Psicoanalisi e Psicosi (1992), Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996. Successivamente altri autori, tra cui Alberto Eiguer, hanno cercato di trovarne una esatta definizione: Cfr. Eiguer A., Le pervers narcissique et son complice (2004), France, Dunod, 2021.
[8] Hirigoyen M., Le Harcelement Moral. La Violence Perverse Au Quotidien, tr. it. di Guerra M., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Einaudi, 2000, p. 139.
[9] Cfr. Schiavone C., Le origini della violenza | Vivere in Alto, Rivista di discipline umanistiche, op. cit.
[10] Cfr. Acting out | Le parole della Psicologia (psiconline.it), data ultima consultazione 19 novembre 2021: «Il termine acting-out, letteralmente “passaggio all’atto”, indica l’insieme di azioni aggressive e impulsive utilizzate dall’individuo per esprimere vissuti conflittuali e inesprimibili attraverso la parola e comunicabili solo attraverso l’agito».
[11] Hirigoyen M., Femmes sous emprise. Les ressorts de la violence dans le couple, op. cit. p. 90.
[12] Cfr. ibidem.
[13] Dopo una iniziale fase di shock, confusione e paura, in cui sente minacciata la propria esistenza, la vittima inizia a identificarsi con il carnefice, giustificandolo e comprendendo le sue motivazioni. Ovviamente c’è una parte di personalità che si rende perfettamente conto di quanto sta avvenendo, ma è una vocina flebile che si dissocia ben presto dalla paura e dal rancore verso l’aguzzino. L’abuso che subisce lega la vittima a filo doppio con la persona che lo esercita. La vicinanza con l’abusante compromette l’autostima e l’obiettività della vittima al punto tale da non permettere di rendersi conto dello schema ciclico a cui la vittima partecipa. Cfr. Sindrome di Stoccolma e dipendenza affettiva:Mi fa male ma lo amo (psicotime.it), data ultima consultazione 21 novembre 2021.
Fonti
ADDORISIO DE FEO Ilaria, Acting out, in «Psiconline», 31 maggio 2016: Acting out | Le parole della Psicologia (psiconline.it).
BOWLBY John, A Secure Base: Clinical Applications of Attachment Theory, tr. it. di MAGNINO M., Una base sicura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996.
EIGUER Alberto, Le pervers narcissique et son complice (2004), France, Dunod, 2021.
HIRIGOYEN Marie-France, Femmes sous emprise. Les ressorts de la violence dans le couple, tr. it. di PICO Stefania, Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia, Torino, Einaudi, 2006.
HIRIGOYEN Marie-France, Le Harcelement Moral. La Violence Perverse Au Quotidien, tr. it. di GUERRA Monica, Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Einaudi, 2000.
RACAMIER Paul-Claude, Le Génie des origines, tr. it. di XELLA C. M., Il genio delle origini. Psicoanalisi e Psicosi (1992), Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996.
SCHIAVONE Chiara, Le origini della violenza, in «VIA – Vivere in Alto», Le origini della violenza | Vivere in Alto, Rivista di discipline umanistiche.
VENTURINI Anna Chiara, Sindrome di Stoccolma e dipendenza affettiva: “Nonostante tutto quello che mi ha fatto, io lo amo!”, in «Piscotime», Sindrome di Stoccolma e dipendenza affettiva:Mi fa male ma lo amo (psicotime.it).
Chiara Schiavone
Chiara ha conseguito il Diploma in Arti Figurative e Beni Culturali presso il Liceo Artistico Francesco Arcangeli di Bologna. Si è poi laureata in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Ferrara e attualmente frequenta il corso di Laurea Magistrale di Pedagogia presso l’Università di Bologna. Attualmente lavora come Educatrice Professionale e svolge il tirocinio come Coordinatrice Pedagogica. Appassionata di arte, scrittura e musica, è sensibile a temi quali: violenza, educazione e ricerca del proprio Sé.