La violenza assistita

Quello che i bambini vedono

Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza),

e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici. È una forma di maltrattamento la cui rilevazione necessita del preliminare riconoscimento della violenza intrafamiliare diretta.

 CISMAI, Documento sui requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri, 2015

Dalla definizione del CISMAI si evince come qualsiasi tipo di comportamento violento, messo in atto davanti agli occhi di un minore, sia vera e propria violenza nei suoi confronti. Si percepisce anche come la violenza assistita possa avere conseguenze importanti sulla salute psicofisica del bambino

Se il minore assiste alla violenza, si scatenano delle risposte a livello psicologico che influenzano la formazione della sua stessa personalità.

Come abbiamo visto nell’articolo Le origini della violenza, assistere a comportamenti violenti può contribuire alla trasmissione intergenerazionale della violenza. Creando dunque un continuum del fenomeno. 

La continua esposizione a comportamenti violenti, al clima di tensione costante e alle conseguenze psicofisiche che questi hanno sulla madre sono tutte forme di maltrattamento psicologico.

Conseguenze e segnali della violenza assistita

Quali sono i segnali di bambini o bambine maltrattati/e?

  • Presenza di un atteggiamento timoroso, vittimista, oppure aggressivo.
  • Bassa autostima, continua svalutazione delle proprie azioni e pensieri (“non sono capace, non ce la faccio…”).
  • Ritiro sociale, bassa competenza di gestire i rapporti sociali.
  • Comportamenti aggressivi nei confronti del gruppo dei pari, bullismo ecc.
  • Comportamenti aggressivi nei confronti dei genitori.
  • Disturbi del sonno, ansia, ADHD (sindrome da deficit di attenzione e di iperattività), depressione.
  • Mancanza di fiducia in sé e nel prossimo.

Gli effetti sul minore possono essere molto gravi. Diversi psicologi hanno dimostrato che possono essere importanti tanto quanto la violenza subita direttamente.

«I bambini sono vittime perché sono lì e non accettano di dissociarsi dal genitore preso di mira. Testimoni di un conflitto che non li riguarda, incassano tutta l’ostilità destinata all’altro genitore. […] Si tratta di un trasferimento dell’odio e della distruttività. Di fronte alla denigrazione permanente di uno dei genitori da parte dell’altro, ai bambini non resta che la possibilità di isolarsi. Perderanno così ogni possibilità di individuazione o di pensiero autonomo»

                            Hirigoyen M.F. Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, p. 35


Una madre che subisce maltrattamenti continui non può svolgere adeguatamente il suo compito genitoriale. Spesso, essendo traumatizzata e soffrendo di depressione,
non riesce a svolgere in maniera funzionale il suo ruolo di genitore.

Da qui può generarsi una tipologia di attaccamento (madre-figlio) disfunzionale, non efficiente. La mancanza di cure nei confronti del minore ha conseguenze significative sulla formazione della sua personalità e della fiducia in sé e nel mondo esterno.

Il minore che assiste all’intera dinamica della violenza può provare una costante sensazione di allerta e ansia. Ma anche rabbia nei confronti sia del genitore maltrattante che del genitore che subisce. Addirittura, può succedere che il minore provi un senso di colpa e trovi la ragione di ciò che accade nel suo semplice esistere, sentendosi responsabile

Il minore può identificarsi con il genitore che mette in atto i comportamenti violenti, screditando e facendo violenza verbale e fisica sulla madre. 

Una delle conseguenze può essere anche quella di interiorizzare la violenza agita come meccanismo di risposta e proiettarla all’esterno. Più precisamente nel gruppo dei pari. 

Un minore esposto ad agiti violenti vive costantemente la tensione di dover ritornare a casa. Proprio a causa di questo, alcuni minori reagiscono scappando di casa. 

Date le gravi conseguenze che nascono da queste dinamiche violente è fondamentale coglierne i segnali, rilevare il fenomeno, attivare azioni di protezione, valutazione e trattamento delle persone coinvolte. Tutto questo è possibile attraverso il coinvolgimento di operatori sociali e sanitari, sia per i minori che per gli adulti, incluso il personale educativo e giuridico.

Che cosa si può fare?

Intervenire direttamente sul fenomeno non basta. Sono necessarie azioni di sensibilizzazione e prevenzione, che trattino in primis la dimensione emotiva presente in ognuno di noi. Attraverso percorsi che coinvolgano ogni individuo durante il proprio percorso formativo, e formazioni specifiche per gli operatori e le operatrici specializzate in campo sociale, medico ed educativo.

Sarebbe importante sensibilizzare i minori, attivando percorsi e laboratori sulle emozioni, a partire dalle scuole. Conoscere le emozioni, imparare a riconoscerle e gestirle adeguatamente, permetterebbe di aprire lo sguardo verso l’altro, assumendo un atteggiamento maggiormente empatico e riducendo drasticamente l’emersione di comportamenti aggressivi.

Dobbiamo ricordarci che il comportamento aggressivo viene messo in atto da coloro che non hanno gli strumenti per poter leggere, tradurre e gestire le proprie emozioni. Oltre che un arricchimento rispetto agli strumenti di lettura delle emozioni proprie e altrui, i percorsi e i laboratori a tema, potrebbero essere una risorsa fondamentale per la raccolta di vissuti, riuscendo ad agire tempestivamente e in maniera organica sul fenomeno.

Infatti, può succedere che durante lo svolgimento di una attività incentrata sulla gestione della rabbia, emergano delle dichiarazioni importanti da parte dei minori stessi, attraverso le quali è possibile intervenire concretamente. 

È fondamentale tenere a mente che per lavorare sul fenomeno della violenza è necessario un approccio multidisciplinare e multi-contestuale

Bisognerebbe creare più spazi di condivisione e ascolto, solo così ogni esperienza negativa potrebbe emergere, rendendo possibile un cambiamento radicale.

Chiara Schiavone

Chiara ha conseguito il Diploma in Arti Figurative e Beni Culturali presso il Liceo Artistico Francesco Arcangeli di Bologna. Si è poi laureata in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Ferrara e attualmente frequenta il corso di Laurea Magistrale di Pedagogia presso l’Università di Bologna. Attualmente lavora come Educatrice Professionale e svolge il tirocinio come Coordinatrice Pedagogica. Appassionata di arte, scrittura e musica, è sensibile a temi quali: violenza, educazione e ricerca del proprio Sé.

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