La figura del dotto tra pregiudizi e prospettive lavorative nell’Accademia Umanistica
Molti giovani universitari sono come
un fiume in perenne piena. Son sempre fuori corso.
Giulio Andreotti, 1940
Introduzione
Con la nascita delle prime Scholae proto-universitarie[1] e dei primi Studia (IX-XI secolo) – evoluti poi nelle Universitates[2] – andò a crearsi la figura del “dotto”. O, per meglio dire, a ricrearsi e rivoluzionarsi. La figura del dotto mutò progressivamente con il passare dei secoli, evolvendosi per non rimanere ancorata al passato. Tuttavia, il dotto guardava al passato come a un’epoca d’oro, per poterla ricreare nella propria quotidianità e contemporaneità.
La competenza della figura del dotto, fino agli albori del XIX secolo, sconfinava dalle scienze umane alle scienze “esatte”. Egli era un individuo politico e sociale, profondamente inserito all’interno della propria comunità, a cui offriva le sue competenze dopo anni di studio.
Con la separazione tra sapere scientifico e umanistico (iniziata tra XIX e XX secolo e ancora in evoluzione) la figura del dotto andò a scindersi. Nacquero la figura dello scienziato e quella del pensatore/opinionista. E un progressivo maggiore interesse pubblico si ebbe nei confronti del primo.
Con lo scoppio delle Guerre Mondiali, con il boom economico del Secondo Dopoguerra, e con il sempre maggiore sviluppo tecnologico, dalla seconda metà del XX secolo fino ai primi anni del XXI secolo lo squilibrio nel giudizio comune tra scienziato e pensatore si è acuito sempre più.
Si andrà dunque a operare un’indagine sul modo in cui negli ultimi decenni la figura del “dotto” si sia trasformata in quella del “professorone”.[3] Opereremo anche una disamina sulle opportunità lavorative e formative che l’Accademia – e in particolare le Scuole Umanistiche – offrono ai giovani laureandi e laureati.
La figura del "dotto” e quella del “professorone” a confronto
Dopo la fondazione delle prime Scholae e Universitates, e successivamente alla loro regolamentarizzazione istituzionale,[4] il sapius/sapiens[5] antico divenne il doctus/doctor,[6] Ossia colui che indirizza la sua istruzione superiore al raggiungimento di un riconoscimento che gli consenta di ricoprire un determinato ruolo nella comunità. Ma, soprattutto, di svolgere un servizio qualificato per essa.
Doctus e doctor era il medico, il giurista, il notaio, il teologo, il filosofo. La figura del dotto medievale e, successivamente, quella del dotto umanista proto-moderno e moderno, altro non era che il laureato. Al laureato era consentito, in virtù della sua istruzione riconosciuta, di svolgere un determinato mestiere.
Soltanto il laureato in medicina poteva operare legalmente. Soltanto il laureato in giurisprudenza poteva intraprendere la carriera da giurista. In tale scenario, le scienze umane ricoprivano il ruolo più intellettualmente elevato. Le artes liberales[7] erano ritenute non solo condizione sine qua non per svolgere determinati mestieri, ma anche propedeutica allo studio teologico e filosofico.
Con il progressivo sviluppo scientifico e tecnologico, già a partire dal XVIII secolo si andò via via formando una netta separazione tra scienze umane e scienze esatte. Sul finire dello stesso secolo, tale separazione esplose letteralmente. La figura del dotto non rimandava più a colui che aveva esplorato lo scibile umano per lavoro e per amore del sapere. Piuttosto era divenuto uno scienziato, un matematico, un filosofo, un linguista.
In altre parole, il fine della conoscenza non era più la conoscenza stessa. Divenne un fine altro, spostato nell’oggetto stesso di studio: il dotto contemporaneo non studia per sapere, ma per raggiungere un determinato scopo utilitaristico.
In questa corsa all’utile, le scienze umane hanno dovuto cedere il passo alle scienze esatte. La Filosofia – ma non solo –, un tempo regina del sapere che andasse oltre l’istruzione di base, venne delegittimata. E dovette affrontare la domanda, sempre più frequente nel corso del Novecento, «A cosa serve la filosofia?».
Negli ultimi due decenni la figura del dotto (doctus), e soprattutto quella del dottore (doctor) in una qualunque disciplina umanistica, si è ulteriormente “macchiata” agli occhi della comunità. Prima, infatti, la sfida e la delegittimazione intellettuale avvenivano solamente su un piano accademico. In altre parole: scienze esatte contra scienze umanistiche.
Con il progressivo diffondersi della pericolosa retorica politica populista, complottista e antiscientifica, il laureato[8] in generale è una figura sospetta e infida. Chi compie un percorso di studio superiore diventa quindi un “professorone” che vive senza far nulla in un mondo a parte.
Diventa un individuo che non sa stare a contatto con la gente comune. Un privilegiato da combattere, da non ascoltare, qualcuno che non sa fare l’interesse del “popolo” ma di grandi organizzazioni segrete. Il dottore, oggigiorno, è il servo di Big Pharma, è il privilegiato dai Poteri Forti. Il laureato è il fondatore della Dittatura sanitaria e di quella del Pensiero unico.
Si tratta di un pericoloso pregiudizio che rischia di minare l’importanza di un’istruzione qualificata. Ma rischia anche di favorire la diffusione delle informazioni fai-da-te, dei ciarlatani, dei “laureati” presso l’“Università della Strada”.[9]
Lavorare “con” e “per” l’Accademia Umanistica
In un mondo – e in uno Stato – in cui l’Università viene sempre più privata delle risorse che richiede per mantenere alto il proprio livello, quali prospettive si aprono verso chi decide di proseguire la propria istruzione superiore? Ancora, quali opportunità offre l’Accademia stessa ai propri dottori?
In primo luogo, l’Università fornisce alcuni generi di occupazione post-laurea: il tirocinio, la borsa di studio / l’assegno di ricerca e il dottorato/master. Quest’ultimo rappresenta di norma il passo successivo alla laurea magistrale nel proseguimento della propria istruzione. Ha tuttavia alcune profonde contraddizioni che lo rendono un privilegio di pochi: un numero altissimo di candidati contrapposto al numero estremamente limitato di posti disponibili e requisiti di ammissione che privilegiano chi ha già ottenuto riconoscimenti a dispetto di chi, al contrario, ne avrebbe maggiormente bisogno.
Un problema simile è riscontrabile anche nell’organizzazione di borse e assegni di ricerca. I fondi vengono tagliati di legislatura in legislatura, soprattutto in area umanistica, ritenuta, probabilmente, meno importante. Infine, il tirocinio post-laurea rappresenta un tema particolarmente controverso che necessiterebbe di una trattazione a parte. A ogni modo, anch’esso risulta di difficile ottenimento, sia per quanto riguarda la richiesta limitata,[10] sia per retribuzione e riconoscimento intellettuale e lavorativo.
Per quanto riguarda i dottori in discipline umanistiche, la questione si complica ulteriormente. Le Università e, in generale, l’istruzione superiore viene sempre più avversata e lasciata senza fondi. L’ambito umanistico viene però ulteriormente svantaggiato. Per fare un esempio, uno dei criteri del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per l’assegnazione di fondi ad Atenei e a singoli dottorati risulta essere l’attrattività del Dottorato.[11]
In altre parole, più la Scuola risulta attrattiva attraverso un determinato dottorato, maggiori saranno i fondi pubblici che essa otterrà. Viene così a crearsi un circolo vizioso. Sia a livello lavorativo che accademico, i dottori in discipline umanistiche vengono richiesti in misura minore. Ciò rende meno “appetibili” tali dottorati.
Ne consegue, dunque, che le Scuole Umanistiche dei diversi Atenei risentono maggiormente di tale diffidenza nei confronti dell’istruzione in generale. Tale fatto è facilmente riscontrabile nei dati che possono essere raccolti. Si guardi alla quantità di dottorati pubblici in area umanistica e scientifica, e ai curricula ricercati negli eventi accademici di Job Placement.
Conclusione
Vogliamo ora tirare le fila di questa disamina del nuovo ruolo del dottore nella società e delle sue opportunità nel mondo accademico e in quello del lavoro. Verranno riportati alcuni dati, relativi, da un lato, alla pubblicazione dei bandi di dottorato presso il sito web del M.I.U.R.[12] e, dall’altro, ai profili ricercati dalle aziende presso il Career Day organizzato ogni anno dall’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.
Non è necessario aprire ogni singolo bando per rendersi conto dello squilibrio presente nell’Accademia italiana tra scienze umane e scienze esatte. Ne sono un esempio lampante le aree disciplinari presenti sul sito web del M.I.U.R.. Alle quattro macro-aree umanistiche si contrappongono le dieci aree più specifiche e dettagliate scientifiche. Esse rappresentano circa il 65%[13] dei dottorati italiani.
Allo stesso modo, durante «uno degli eventi di punta organizzati dall’Università di Bologna»,[14] il 49% dei profili ricercati proveniva dal settore manifatturiero, mentre il restante 51% dal settore dei servizi avanzati (come chiarito nel sito web, «ICT, consulenze ingegneristiche e manageriali, servizi alle aziende, bancari e assicurativi»). Le scienze umane non vengono nemmeno nominate.
Gli esempi possibili non si esauriscono qui. A nostro avviso, però, queste due semplici testimonianze riportate sono sufficientemente chiarificatrici. Esse esprimono al meglio un problema che da anni va via via peggiorando, di legislazione in legislazione. L’Accademia è ormai lasciata a se stessa. Viene abbandonata dalle istituzioni e osteggiata dai pregiudizi fomentati da una classe politica che non guarda alla qualità dei contenuti e alle capacità. Piuttosto guarda allo share e ai retweet.
Il compito rimasto nelle mani di chi decide di intraprendere una carriera universitaria (in particolare umanistica) è quello di portare avanti un’idea di istruzione interdisciplinare. Un’istruzione che sappia far compenetrare discipline e ambiti e che sia inclusiva. Ma che soprattutto dia il più possibile modo a tutti di esprimere il proprio pensiero e di esercitare le proprie ricerche, nel limite dell’onestà intellettuale e scientifica.
Note e Fonti
[1] Cfr. Grmek M. D., Histoire de la pensée médicale en Occident (1993), tr. it. a cura di M. Astrologo, Storia del pensiero medico occidentale. Antichità e Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2007.
[2] Dalle prime Scholae, come quella salernitana nata all’incirca nel IX secolo, e dai primi Studia, come quello bolognese – o, in altre parole, dalle prime congregazioni studentesche medievali – nacquero quelle che, a oggi, vengono comunemente chiamate “Università”.
[3] Cortelazzo M., Le parole della politica – Professoroni (7 giugno 2019), voce in Enciclopedia Treccani online.
https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Neopolitica15.html. Ultima consultazione 14 settembre 2021.
[4] Cfr., ad esempio, Brizzi G. P. et al., Storia delle università in Italia, Messina, Sicania, 2007; id., Le Università dell’Europa (I), Milano-Cinisello Balsamo, Silvana Ed., 1990.
[5] Letteralmente, il “saggio” e il “sapiente”, ossia, secondo l’antica tradizione platonica e aristotelica, “colui che sa vivere bene” e “colui che conosce tante cose”.
[6] Il “dotto” e il “dottore laureato”.
[7] Le discipline medievali convenzionalmente divise in Trivio (grammatica, retorica e dialettica) e Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica).
[8] Un esempio del pregiudizio della politica in generale verso gli universitari si evince chiaramente anche dall’esergo di questo articolo.
[9] Termine comunemente usato sui social per indicare un tipo di “istruzione” ottenuta in orgogliosa contrapposizione all’istruzione vera e propria.
[10] Cfr. infra.
[11] Cfr. Decreto Ministeriale M.I.U.R. n.442, Tabella 8, Dottorato e Post Laurea 2020.
[12] Cfr. https://bandi.miur.it/doctorate.php/public/cercaFellowship. Ultima consultazione 14 settembre 2021.
[13] Dati raccolti nella consultazione dei bandi disponibili.
[14] Cfr. https://jobplacement.unibo.it/it/career-day. Ultima consultazione 14 settembre 2021.
Roberto Levoni
Roberto è uno studioso di Storia e Filosofia, i suoi interessi spaziano dalla cultura europea sei-settecentesca al più contemporaneo rapporto umano-animale.