Il ruolo sociale della fotografia

La fotografia è probabilmente
fra tutte le forme d’arte 
la più
accessibile e la più gratificante.
Può registrare volti o avvenimenti
oppure 
narrare una storia.
Può sorprendere, divertire ed educare.
Può cogliere, e comunicare,
emozioni e documentare 
qualsiasi
dettaglio con 
rapidità e precisione.

John Hedgecoe

Introduzione

Da oltre un secolo, ma mai come ai giorni nostri, la realtà viene sovente rappresentata attraverso il medium fotografico: mostre, selfie, cataloghi, post, pubblicità.

Il medium fotografico si fa quindi portavoce del pluralismo per quanto concerne la rappresentazione della realtà. E, per questo, costituisce un interessante oggetto di studio e ricerca.

Dunque la fotografia è oggi una forma d’arte. Ma anche un importante mezzo con il quale chiunque, munito di smartphone, può esprimersi e raccontare la propria vita, le esperienze e i differenti modi di guardare la realtà. Ma può anche essere uno strumento utile alle istituzioni per denunciare e mostrare alla cittadinanza situazioni sociali particolarmente complesse.

Quando è nata la fotografia? Qual è il suo ruolo sociale? Quali sono le differenze fra analogico e digitale? Queste sono solo alcune delle domande alle quali chi si approccia alla storia della fotografia vuole dare una risposta.

 

Storia della fotografia

È il 1827 quando il chimico e fisico francese Nicéphore Niépce realizza la prima ripresa fotografica della storia raffigurante il panorama visibile dalla finestra del suo laboratorio.[1]

Ma è solo nel 1838 che, grazie al pittore e scenografo francese Louise-Jacque Mandè Daguerre, si ha il brevetto della fotografia: nasce la dagherrotipìa.[2]

Da allora, innumerevoli esperimenti ed evoluzioni hanno riguardato questo medium, diventato oggi a tutti gli effetti una vera e propria forma d’arte, ma anche parte integrante della nostra quotidianità.

Volendo citare i momenti più rilevanti nella storia della fotografia, si ricorda quando nel 1911, nel Manifesto del Fotodinamismo futurista,[3] il regista Anton Giulio Bragaglia[4] introduce la fotodinamica, «una tecnica di ripresa che, tramite un tempo di apertura prolungato dell’otturatore, imprime sulla pellicola le traiettorie di un corpo in movimento».[5]

Nel 1948, l’americano Edwin Herbert Land deposita il brevetto della Polaroid, la macchina fotografica istantanea che inizialmente realizza solo foto in bianco e nero e dal 1963 anche a colori.[6]

Risale al 1990 la prima versione di Photoshop, il popolare programma utilizzato per modificare immagini fotografiche.[7]

Nel 1992, invece, nasce lo standard jpeg, metodo di registrazione delle immagini adottato dalle prime fotocamere digitali immesse sul mercato agli inizi degli anni Novanta.[8] Oggi, questo standard di compressione delle immagini fotografiche è il più diffuso.

Da un punto di vista tecnico, secondo quanto riportato dall’Enciclopedia Treccani, si ha la seguente differenza tra fotografia analogica e digitale:

una fotocamera tradizionale è un dispositivo analogico perché, attraverso un processo chimico, restituisce in modo continuo le diverse tonalità di colore impresse sulla pellicola; la fotocamera digitale, invece, restituisce l’immagine attraverso un numero finito (seppure grande) di minuscoli elementi rettangolari, detti pixel (contrazione dei termini inglesi picture element, elemento di immagine), ognuno dei quali ha un ben definito colore appartenente a una gamma finita codificata attraverso un numero.[9]

Sebbene il primo prototipo di macchina fotografica digitale sia stato realizzato da un ingegnere della Kodak nel lontano 1975,[10] in Italia la vendita delle macchine fotografiche digitali ha superato quella delle macchine analogiche solo nel 2003.[11]

 

La funzione sociale della fotografia

Una delle funzioni più importanti assunte dal medium fotografico è, senza dubbio, quella sociale. Si rende manifesta attraverso l’attività fotogiornalistica compiuta dal fotoreporter, il cui compito è quello di «catturare i fatti nel luogo e nel momento stesso in cui avvengono».[12]

Se in Gran Bretagna un esempio di periodico che ha dato spazio al fotogiornalismo è “Picture Post”, la cui fondazione risale al 1939, in Francia si ricordano la rivista “Vu” (nata nel 1928 sotto la direzione di Lucien Vogel e che vanta tra i suoi collaboratori il celebre fotografo Henri Cartier-Bresson) e “Paris Soir” (fondata negli anni Venti e sulla quale lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry riportava ai lettori i resoconti dei suoi viaggi).[13]

Anche negli Stati Uniti d’America vi sono numerosi esempi di riviste che hanno dato lustro all’elemento fotografico, oltre che alla parola, nel racconto della realtà.

Fra queste, è possibile annoverare il settimanale “Life”, fondato da Henry Luce nel 1936, che negli anni ha raccolto diversi fotoreportage di guerra, come quello del 1937 in cui è presente lo storico scatto del fotografo Robert Capa che raffigura un miliziano della Guerra civile spagnola.[14]

Oltre a “Life”, grande attenzione merita, sempre nell’ambito statunitense, “New Masses”, nato nel 1926 come rivista mensile e successivamente settimanale, che

affronta le tematiche che affliggono una porzione consistente del globo, dalla guerra civile spagnola agli autoritarismi europei; […] l’indagine sulle difficoltà delle classi subalterne viene così affiancata, ad esempio, all’opposizione al razzismo, al capitalismo, all’imperialismo. Un ricco apparato iconografico, inoltre, potenzia il messaggio affidato ai testi e struttura le pagine del giornale in modo da offrire una simbiosi verbo-visiva dove nessuno dei due linguaggi svolge una funzione puramente esornativa.[15]

Sul fronte italiano, invece, un celebre esempio di fotogiornalismo è rappresentato da “Il Politecnico” diretto dallo scrittore siciliano Elio Vittorini e pensato come periodico illustrato sia con disegni che con fotografie.[16]

Il ruolo sociale della fotografia risiede nel suo essere testimonianza di frammenti di realtà che, talvolta, per la loro rilevanza, possono contribuire a scrivere la storia di una piccola comunità, di una città o di un’intera Nazione.

Inoltre, è importante sottolineare che la fotografia non ha solo una funzione sociale, ma anche politica e civile.

Ad esempio, la foto scattata da Nick Ùt l’8 giugno 1972 durante la guerra in Vietnam, che ritrae una bambina ustionata a causa di un bombardamento al napalm, racconta un fatto storico-politico realmente accaduto attraverso un’immagine di sofferenza che scuote le coscienze.

Oppure le varie foto scattate a seguito di catastrofi naturali, come terremoti, maremoti o valanghe, manifestano una funzione civile della fotografia, poiché possono spingere la popolazione a intraprendere azioni concrete di aiuto.

 

Fotografia e Social

La fotografia è certamente uno degli elementi cardine dei social. Infatti, gli iscritti a Facebook, Instagram e Twitter (ora “X”) utilizzano le foto per mostrare le loro esperienze di vita e per costruirsi un’immagine.

Tutto ciò, però, non avviene sempre in maniera casuale ma è frutto di scelte oculate da parte degli utenti.

In un contributo intitolato «Immagini personali sui social network: Facebook come caso studio» presente all’interno del testo Gli effetti sociali del web curato da Giovanni Bocci Artieri, si fa riferimento a una ricerca di Fatima Aziz[16] condotta al fine di comprendere le modalità di utilizzo da parte dei giovani delle proprie immagini personali nell’ambito di uno dei social network più popolari: Facebook.

Dai risultati di tale ricerca emerge che «l’immagine del profilo gioca un ruolo determinante ed è considerata come fondamentale per mostrare un’immagine positiva di sé»[17] e che «sia in profili pubblici che privati le foto del profilo sono selezionate per rappresentare un’attività sociale, individuale o collettiva, che enfatizza l’importanza di mostrare l’amicizia in modo visuale».[18]

Altra questione particolarmente rilevante è quella relativa alla rappresentazione del proprio fisico, con la conseguente paura del giudizio altrui; infatti:

molti intervistati hanno espresso un certo disappunto nella pubblicazione di immagini di sé ritenute “povere e brutte” da parte loro o di loro amici. […] Tutti hanno espresso la paura di essere giudicati sul loro modo di apparire fisicamente. Questa paura del giudizio altrui li ha spinti a cancellare le foto in questione o a togliere il proprio tag. Questo tipo di comportamento […] è una strategia di controllo sull’immagine personale e indica la pressione percepita da molti net-users su Facebook: il bisogno di presentare un’immagine di sé buona e se possibile perfetta.[20]

 

Analogico vs Digitale

Al di là dell’elemento tecnico approfondito in precedenza, la differenza tra fotografia analogica e digitale assume rilevanza teorica anche sul fronte socio-culturale. Infatti «le nuove immagini informatiche presentano qualità nuove: esse […] sono facilmente modificabili, cancellabili e velocemente trasmissibili a media differenti, non sono più legate a supporti materiali come la pellicola o la carta».[21]

Con l’avvento del digitale, dunque, si ha la possibilità da parte di chiunque di intervenire in prima persona nella modifica di diversi aspetti tecnici della foto (colore, luminosità, nitidezza, ecc.) e nell’alterazione di ciò che rappresenta, attraverso ritagli o aggiunte di elementi.

Oggi, infatti, si assiste spesso a situazioni in cui vi è coincidenza fra il protagonista di una foto e la persona che l’ha scattata, modificata e condivisa.

Inoltre, non sempre l’approccio di fronte a una foto in formato digitale e una in analogico risulta il medesimo; infatti:

la prima sensazione che si accompagna al passaggio dall’analogico al digitale in fotografia è una sorta di perdita di qualcosa, di smarrimento di qualcosa di familiare a favore di qualcos’altro di meno amichevole e abituale ma tuttavia molto accattivante; si instaura insomma una dialettica irrisolvibile tra ciò che si è perso e ciò che di nuovo si è ottenuto entro la quale è possibile svolgere la riflessione sulla natura della fotografia digitale.[22]

Una foto analogica rispetto a una digitale possiede un’aura speciale, che rimanda agli album di famiglia che per anni hanno raccontato la realtà e la società del passato.

Oggi, invece, le foto affollano i social e documentano i diversi aspetti della quotidianità, talvolta anche quelli estremamente privati e, pertanto, quest’aura sembra essersi persa.

 

Conclusioni

Al termine di questo excursus nel mondo della fotografia, quello che emerge è che, certamente, questo medium ha cambiato le modalità con cui si comunica e si rappresenta la realtà nella società contemporanea e che l’avvento delle nuove tecnologie consente a chiunque sia dotato di dispositivi come smartphone e tablet di avere un ruolo attivo nella produzione, nella modifica e nella condivisione delle fotografie.

Oggi vi è, dunque, un nuovo sguardo verso se stessi e verso il mondo, molto diverso da quello del passato, legato all’universo analogico.

La fotografia non è solo arte, ma è anche documentazione esplicita di fatti storici e rappresentazione di altre realtà, spesso lontane dai nostri occhi, è ricordo e testimonianza.

E soprattutto, come visto nei precedenti paragrafi, questa ha un importante ruolo sociale, oltre che politico e civile. 

Per questo, nell’atto di condivisione e pubblicazione di una foto, è indispensabile sentire un profondo senso di responsabilità e di rispetto sia nei confronti dell’oggetto rappresentato, ma anche e soprattutto nei confronti della sensibilità del pubblico.

Note

[1] Cfr.  CRICCO G. e DI TEODORO F., Itinerario nell’arte. Dal Barocco al Postimpressionismo (Vol. 4), Bologna, Zanichelli, 2010, p. 1173.

[2] Cfr. Ivi, p. 1174.

[3] Il Manifesto del Fotodinamismo futurista è un testo di 47 pagine con un’appendice fotografica, redatto da Anton Giulio Bragaglia ed edito a Roma dall’editore ANATO. Qui si manifesta l’importanza di una fotografia non statica, ma dinamica, espressione della vita intesa come movimento. La parola “Fotodinamica” si ispira al Manifesto tecnico dei pittori Futuristi.

[4] Anton Giulio Bragaglia è stato un importante artista poliedrico: regista cinematografico, teatrale e saggista. Figlio del direttore della casa cinematografica Cines, nasce a Frosinone nel 1890 e, insieme ai suoi fratelli Carlo Ludovico e Arturo, si avvicina presto al mondo dell’arte. Legato al Movimento Futurista, nel 1918 fonda con i fratelli la Casa d’arte Bragaglia, mentre nel 1921 dirige il Teatro degli Indipendenti. Vicino al fascismo, nel corso della sua carriera scrive di teatro, cinema e fotografia. Muore a Roma nel 1960.

[5] Cit. VANGI M., Fotografia, «Dizionario degli Studi Culturali»,  culturalstudies.it (studiculturali.it).

[6] Cfr. https://www.ultimavoce.it/polaroid-la-storia-della-macchina-fotografica-istantarea-piu-popolare-di-tutti-i-tempi/ Data di ultima consultazione 27 settembre 2023.

[7] Cfr. BALBI G. e MAGAUDDA P., Storia dei media digitali. Rivoluzioni e continuità, Roma-Bari, Editori Laterza, 2014, p. 149 dell’ebook.

[8] Ivi, p. 152.

[9] analogico in “Enciclopedia della Matematica” (treccani.it) Data di ultima consultazione 24 settembre 2023.

[10] Cfr. BALBI G. e MAGAUDDA P., Storia dei media digitali. Rivoluzioni e continuità, op. cit., p. 151.

[11] Cfr. FIORENTINO G., Al tempo di Facebook. Fotografia e identità nella vita quotidiana, in FAETA F. e FRAGAPANE G. D. (a cura di), Forme e modelli. La fotografia come modo di conoscenza, Atti del Convegno SISF, Roma-Messina, Corisco Edizioni, 2013, p. 108.

[12] Cit. Ivi, p. 3.

[13] Cfr.  PONTILLO C., “Il Politecnico” di Vittorini. Progetto e storia di una narrazione visiva, Roma, Carocci, 2020, p. 42.

[14] Cfr. Ivi, pp. 42 e 43.

[15] Ivi, p. 47.

[16] Cfr. Ivi, p. 64.

[17] Fatima Aziz è Ph.D presso la Ècole des hautes études en sciences sociales.

[18] Cit. AZIZ F., Immagini personali sui social network: Facebook come caso studio, in BOCCIA ARTIERI G. (a cura di) Gli effetti sociali del web. Forme della comunicazione e metodologia della ricerca online, Milano, FrancoAngeli, 2015, p. 153.

[19] Ibidem.

[20] Ivi, p. 155.

[21] Fotografia, «Dizionario degli Studi Culturali», op. cit.

[22] Cit. CRESCIMANNO E., Dall’analogico al digitale. Fotografia, esperienza e progresso tecnologico, Palermo, Centro Internazionale Studi di Estetica, 2013, p. 77.

Francesca Bella

Francesca Bella, siciliana, classe ‘93, si laurea in Scienze e lingue per la comunicazione  all’Università degli studi di Catania e consegue la specializzazione in Comunicazione della Cultura e dello Spettacolo presso lo stesso ateneo con una tesi in Giornalismo culturale. Ama dipingere e disegnare.

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